La Suprema Corte, con sentenza n. 28378/2023, si è espressa in materia di licenziamento disciplinare comminato sulla base di prove raccolte con l’ausilio di agenzie investigative.

La questione in esame riguardava l’utilizzabilità di prove raccolte da più investigatori privati: quello originariamente incaricato dal datore di lavoro, al fine di documentare gli eventuali comportamenti scorretti del dipendente, e gli investigatori esterni, chiamati dal primo in supporto per l’espletamento delle attività d’indagine. Nello specifico, gli Ermellini si sono pronunciati dichiarando inammissibile l’utilizzo di quanto emerso e documentato nel corso delle indagini svolte, poiché lesivo della privacy del soggetto indagato.

Infatti, l’investigatore privato, in termini di trattamento dei dati personali, può generalmente avvalersi del combinato disposto dall’art. 24 D.lgs. 196/03 e Considerando 47 e 52 GDPR 679/2016, che determinano casi e norme per un trattamento dei dati senza consenso. Talvolta però può accadere che l’investigatore incaricato si debba avvalere dell’aiuto di uno o più altri colleghi, in tal caso è necessario che il soggetto incaricato in origine rispetti quanto dettato dall’articolo 260 del Regio Decreto 6 maggio 1940, n. 635 (Regolamento per l’esecuzione del TULPS), dal D.M 269/10, in materia di investigazione privata, e dal GDPR.

In altri termini, è necessario che i nominativi di eventuali altri professionisti coinvolti nelle attività d’indagine siano indicati  all’atto del conferimento d’incarico o, in una fase successiva allo stesso, qualora l’esigenza sia sopravvenuta. Trattasi dunque di un requisito indispensabile per la validità e la liceità delle indagini, oltre che per l’utilizzabilità del relativo esito nelle sedi opportune. In caso contrario, tale mancanza inficia il mandato sottoscritto e comporta, di conseguenza, l’inutilizzabilità ai sensi dell’art. 11 comma 2 D.lgs. n. 196/2003, dei dati raccolti da soggetti non legittimati a farlo. Nello specifico, inoltre, l’autorizzazione n. 6/2016 del Garante per la protezione dei dati personali, registro dei provvedimenti n. 528 del 15/12/2016, prevede infatti, che “l’investigatore privato deve eseguire personalmente l’incarico ricevuto e non può avvalersi di altri investigatori non indicati nominativamente all’atto del conferimento dell’incarico oppure successivamente in calce ad esso qualora tale possibilità sia stata prevista nell’atto di incarico”, circostanza questa ribadita anche dall’articolo 8 comma 4 del provvedimento del garante n. 60 del 06/11/2008, allegato A.6 al d.lgs. n. 196/2003.

Pertanto, in mancanza di un incarico specifico conferito tra gli investigatori privati e reso ufficiale, si configurerà un’illecita diffusione di dati personali da parte dell’investigatore originariamente incaricato e un illecito trattamento da parte dell’investigatore subentrato successivamente, il quale si potrebbe trovare nella situazione di dover adempiere all’obbligo di cui al comma 3 dell’articolo 14 del GDPR (informativa dati personali acquisiti presso terzi), da eseguirsi nel più breve tempo possibile e comunque entro un mese.

Tornando al caso in esame, i giudici affermano che: “Ne consegue che sul piano processuale tale norma preclude non solo alle parti di avvalersi dei predetti dati come mezzo di prova, ma pure al giudice di fondare il proprio convincimento su fatti dimostrati dal dato acquisito in modo non rispettoso delle regole dettate dal legislatore e dai codici deontologici”. Inoltre, oltre alle conseguenze nello specifico giudizio, gli investigatori chiamati in causa potrebbero:

  1. essere sanzionati dalle rispettive Prefetture di appartenenza per violazione degli adempimenti relativi al mandato tra agenzie;
  2. essere contestualmente citati dinanzi al Garante privacy: i primi per aver violato il divieto di diffusione dei dati personali del soggetto attenzionato; i secondi per illecito trattamento a seguito di omessa informativa;
  3. esser chiamati a rispondere dei danni subiti dal committente a seguito della inutilizzabilità delle prove raccolte, con conseguente annullamento del licenziamento disciplinare, poiché tale evento si è determinato a causa di una loro negligenza professionale.

Risulta fondamentale, dunque, mantenere una costante attenzione all’aspetto normativo mentre si svolgono le indagini, al fine di evitare rischi e garantire la professionalità nell’esecuzione. Affidarsi ad Argo S.p.A. rappresenta la scelta ideale per condurre indagini in modo professionale e privo di rischi.

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