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Violazione Patto di Non Concorrenza

Indagini per Violazione Patto di Non Concorrenza

 

Il patto di non concorrenza è finalizzato a limitare lo svolgimento dell’attività di un prestatore di lavoro per il tempo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro. Si tratta, in breve, di una clausola contrattuale attraverso la quale il datore di lavoro si accorda con l’ex dipendente per limitare l’attività professionale di quest’ultimo una volta terminato il rapporto di lavoro.

L’articolo 2125 del codice civile disciplina dei limiti precisi al riguardo, stabilendo che tale patto debba risultare da un atto scritto e debba avere limiti temporali prefissati: 5 anni per i dirigenti e 3 anni per tutti gli altri lavoratori. L’articolo del c.c. sopra indicato, inoltre, oltre a fissare altri limiti (di luogo e di oggetto), prevede anche la determinazione di un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro che sia proporzionale alla durata dell’obbligo di non concorrenza. Quest’ultimo corrispettivo ha natura obbligazionale, in quanto costituisce il corrispettivo per un “non facere”, dato che è erogato in vista della cessazione del rapporto di lavoro.

La stipulazione di un patto di non concorrenza trova la sua ragione d’essere nel fatto che il prestatore di lavoro, allo scadere dei termini temporali previsti dal contratto di lavoro, potrebbe attuare una concorrenza sleale e quindi pericolosa nei confronti dell’azienda presso la quale svolgeva l’attività lavorativa, avendone ormai appreso le modalità e le tecniche produttive. La ratio della norma è pertanto quella di consentire al datore di lavoro di tutelarsi per il tempo successivo allo scioglimento del rapporto di lavoro, nei confronti dell’ex dipendente che passi al servizio di un’altra impresa. Tramite questo accordo, infatti, viene limitata la possibilità all’ex dipendente (o ex collaboratore) di svolgere attività in concorrenza con l’azienda per un determinato periodo ed entro una determinata area geografica, al termine del rapporto di lavoro.

La Cassazione, con ordinanza n. 9790 del 26.05.2020 ha affermato che il patto di non concorrenza, previsto dall’art. 2125 c.c., può riguardare qualsiasi attività lavorativa che possa competere con quella del datore e non deve, quindi, limitarsi alle sole mansioni espletate dal dipendente nel corso del rapporto.

In particolare, le attività economiche da considerare in concorrenza tra loro vanno identificate in relazione a ciascun mercato nelle sue oggettive strutture, ove convergono domande ed offerte di beni o servizi identici oppure reciprocamente alternativi e fungibili.

Secondo i Giudici di legittimità, tuttavia, il patto di non concorrenza deve essere considerato nullo ogniqualvolta la sua ampiezza sia tale da comprimere l’esplicazione della concreta professionalità del lavoratore, compromettendone ogni potenzialità reddituale.

Allo stesso modo, deve considerarsi nullo il patto di non concorrenza che preveda il riconoscimento di compensi simbolici, manifestamente iniqui o sproporzionati in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore ed alla riduzione delle sue possibilità di guadagno.

Tale patto si differenzia però dal divieto di concorrenza, che costituisce un obbligo contrattuale operante in costanza di rapporto di lavoro (ovvero nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro) e che non necessita di alcuna pattuizione, che è espressione del più ampio obbligo di fedeltà previsto dall’art. 2105 del c.c.

Il codice civile, inoltre, prevede anche un patto di non concorrenza, oltre a quello già visto sopra tra ex datore di lavoro ed ex collaboratore dello stesso, tra imprenditori operanti nello stesso settore di mercato. L’art.2596 c.c. prevede, infatti, un limite negoziale alla concorrenza tra imprese, consistente nell’accordo stabilito tra due o più imprenditori, allo scopo di impedire l’esercizio di determinate attività concorrenziali per un periodo di tempo circoscritto (5 anni). Questo ha valore solo tra le parti e per una determinata zona e deve essere provato per iscritto.

Il mancato rispetto del patto di non concorrenza da parte dell’ex lavoratore costituisce dunque, un illecito contrattuale. L’ex datore di lavoro può quindi agire giudizialmente nei confronti dell’ex lavoratore per ottenere il risarcimento dei danni provocati dalla suddetta violazione.

L’onere della prova, per legge, spetta al datore di lavoro, che per raccogliere tutte le prove necessarie può avvalersi di investigatori privati e/o di agenzie investigative autorizzate a svolgere indagini e accertamenti per dimostrare il mancato rispetto del patto di non concorrenza sul territorio italiano. L’attività investigativa devoluta con mandato ad un’agenzia investigativa autorizzata, si concentrerà quindi nel reperimento da parte dell’investigatore privato delle prove necessarie per individuare l’illecito commesso dall’ex prestatore e per impedire il prosieguo di comportamenti pregiudizievoli e sleali per l’azienda. Al termine dell’attività svolta dall’investigatore privato, verrà rilasciata una relazione investigativa corredata da supporti probatori (fotografie, filmati, file audio, documenti, ed eventualmente, testimonianze) che avranno piena efficacia ai fini giudiziali.

In conclusione, contattare l’agenzia investigativa a Roma Argo significa rivolgersi ad un professionista esperto, con al suo interno un pool di investigatori privati qualificati, in grado di rilevare e documentare tutte le attività che configurano la violazione del patto di non concorrenza da parte di un ex socio, di un ex dipendente, di un ex agente o di un ex collaboratore nei confronti dell’azienda, per ottenere prove che dimostrino con certezza il mancato rispetto del patto di non concorrenza.

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