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Esercizio Abusivo della Professione

Indagini per Esercizio Abusivo della Professione

 

È preminente rammentare che il tema dell’esercizio abusivo di una professione debba essere inquadrato nel più ampio ‘genus’ della normativa codificata costituente reato; in quanto è una fattispecie penalmente rilevante prevista e punita dall’art. 348 del codice penale.

Per una corretta disamina dell’istituto è pertanto necessario partire dall’articolo che lo disciplina: questo presuppone che si eserciti in modo abusivamente rilevante una professione per la quale è richiesta una determinata abilitazione da parte dello Stato.

Ne consegue ‘a fortiori’ che non tutte le professioni umanamente esercitabili possano determinare la commissione del reato in esame, ma solo evidentemente quelle per le quali lo Stato stesso ne prevede e ne disciplina l’accesso.

È di immediata percezione che trattasi di una norma penale comunemente denominata ‘in bianco’, poiché non ne viene definita compiutamente la portata ma viceversa il legislatore rimanda ad altre normative per integrarla.

È opportuno dunque esaminare il delitto ‘de quo’ in combinato disposto con l’art 2229 del codice civile che determina le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi.

In questi casi l’iscrizione ha carattere di accertamento costitutivo di un determinato status professionale e lo Stato vigila sul rispetto dei requisiti di accesso.

Ciò posto l’intento del legislatore è quello di tutelare, quale bene giuridico, l’interesse pubblico (o semplicemente il buon andamento della P.A) affinché determinate funzioni pubbliche delicate e socialmente rilevanti, siano svolte solo da coloro in possesso di titoli di studio certificati, adeguate e conclamate competenze tecniche e che detengano di conseguentemente specifici requisiti morali, culturali e sostanziali atti a svolgere determinate professioni.

Come rilevato dai giudici di legittimità, viene integrato il reato di esercizio abusivo di una professione ex art. 348 c.p, mediante il compimento senza titolo di atti che siano univocamente individuati come di competenza specifica di essa (Cass. S.U 11545/2012).

In altre parole configura violazione della norma incriminatrice la commissione di atti propri riservati a determinate categorie professionali per le quali è richiesto tassativamente un titolo di abilitazione ai fini del suo esercizio e non anche quegli atti che, mancando di tale tipicità, possono essere compiuti da chiunque (Cass. 38752/16).

Il medesimo principio per cui “costituisce esercizio abusivo di una professione la commissione da parte di un soggetto non in possesso dei requisiti professionali dell’attività riservata in via esclusiva ad esperti ai quali la legge ha riconosciuto la possibilità di svolgerla per le particolari competenze professionali possedute” è stato recentemente ribadito dalla Cassazione in una recente pronuncia con la quale veniva confermata  la condanna alla pena di mesi quattro di reclusione nei confronti di un soggetto per avere esercitato abusivamente la professione di psicoterapeuta senza avere mai conseguito il diploma di laurea e la specializzazione in psicoterapia e senza essere iscritto né all’albo dell’Ordine dei medici, né a quello degli psicologi. (Cass. Pen. sentenza n. 13556/2020)

È sufficiente tuttavia, come rilevato dai giudici di Piazza Cavour, affinché possa essere ritenuto integrato il reato, che il soggetto agente abbia compiuto almeno un atto riservato (ovvero attribuito in esclusiva ad una determinazione categoria professionale) in cui l’abusivo esercizio si sia effettivamente manifestato, a nulla rilevando eventuali atti prodromici o connessi al suddetto esercizio (Cass. 12177/2012).

Per ciò che concerne invece l’elemento soggettivo del reato gli Ermellini sono quasi del tutto concordi nel rilevare che sia sufficiente la presenza del dolo generico ovvero semplicemente della coscienza e volontà di agire ‘contra legem’, a prescindere da uno scopo di lucro ma anzi anche a livello occasionale ed a titolo gratuito (Cass. S.U 11545/2012).

Peraltro ed in conclusione, è necessario ravvisare che le pene previste per chi commette il reato in commento sono piuttosto severe: considerato altresì che dalla iniziale previsione punitiva del tetto massimo di sei mesi di reclusione, prevista alternativamente a pena meramente pecuniaria (multa fino a 516€), le sanzioni sono state recentemente inasprite da ultimo con la L. 3/2018 che ne ha vertiginosamente innalzato la cornice edittale.

Oggi infatti alla luce delle recenti modifiche chi vìola la norma incriminatrice di cui all’art. 348 soggiace ad una pena detentiva da 6 mesi a 3 anni e congiuntamente all’applicazione di una sanzione pecuniaria da 10.000€ di base a 50.000€ di massimale

L’agenzia investigativa, Argo, attraverso i propri investigatori privati sa come espletare un’indagine idonea a tutelare la professione dimostrando, qualora esistesse, la condotta illecita.

Considerando che il fenomeno di cui sopra non è raro, diventa fondamentale tutelarsi dall’esercizio abusivo della professione rivolgendosi ad agenzia investigative certificate.

Al termine dell’indagine verrà redatto dall’agenzia investigativa un dossier, correlato di prove video-fotografiche, dal quale si evincerà l’esito del servizio utilizzabile in sede giudiziaria, momento in cui l’investigatore privato, o gli investigatori privati che dir si voglia, saranno disponibili a confermare il lavoro svolto e ad essere ascoltati come testimoni.

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