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Mobbing

Investigazioni per Privati: Mobbing

 

Con la comune locuzione “mobbing” si fa riferimento, in generale, ad un insieme di atti o comportamenti persecutori, perpetrati da parte di uno o più individui ai danni di un altro, in un contesto lavorativo, finalizzato ad emarginare ed escludere un soggetto dal gruppo sociale di appartenenza.

È una forma di sopruso e di violenza psichica protratta nel tempo, esercitata con modalità e tempistiche ben precise, in danno di un collega di lavoro, di un subordinato o semplicemente di un individuo più debole, con il chiaro intento di danneggiarlo.

Affinché il mobbing assuma rilevanza sul piano giuridico è in particolare necessario che il terrore psicologico si estrinsechi in comportamenti aggressivi e vessatori che si protraggano nel tempo in maniera ripetitiva, regolare e frequente e che comportino nel soggetto passivo uno stato di stress, agitazione e nervosismo costringendolo ad alterare il suo equilibrio psico-fisico.

Quando si è in presenza di mobbing?

In difetto di una specifica disciplina normativa, è necessario rammentare che non esiste un criterio per individuare con precisione le azioni che possono far configurare un caso di mobbing.

In linea di massima, assume rilievo ogni forma di sopruso perpetrata da una o più persone nei confronti dell’individuo più debole: ostracismo, vessazioni, umiliazioni pubbliche e diffusione di notizie non veritiere.

Costituiscono esempi di tali comportamenti: le critiche continue e immotivate, la dequalificazione, l’emarginazione, le umiliazioni, le molestie, le angherie e maltrattamenti.

Assodato che un capo insopportabile, pretenzioso ed arrogante e dagli atteggiamenti sgradevoli e dei colleghi tenacemente molesti sono afflizioni comuni alla gran parte dei lavoratori, non tutti i rapporti contrastanti patiti in ufficio da parte di superiori o di pari grado possono qualificarsi come mobbing e garantire per l’effetto il diritto al risarcimento.

Per disincentivare azioni legali avventate e offrire ai giudici di merito un prontuario garantito, in mancanza di una normativa ‘ad hoc’, la giurisprudenza di legittimità, con sentenza n.10037/2015 ha individuato delle linee guida per riconoscere il vero mobbing evidenziandone dei comuni denominatori.

Sono parametri con cui la vittima deve provare di essere stata danneggiata sul lavoro: ambiente, durata, frequenza, tipo di azioni ostili, dislivello tra antagonisti, andamento per fasi successive, intento persecutorio. Più in particolare:

– Presenza di vessazioni sul luogo di lavoro o in un contesto socialmente assimilabile;

– I contrasti, le mortificazioni o quant’altro devono durare per un congruo periodo di tempo: esse non devono essere episodiche e sporadiche ma anzi reiterate e molteplici nel tempo;

– Deve trattarsi di più azioni ostili: attacchi alla possibilità di comunicare, isolamento sistematico, cambiamenti delle mansioni lavorative, attacchi alla reputazione, violenze minacce, vessazioni e soprusi.

– Vi deve essere un generale dislivello tra gli antagonisti: con l’inferiorità manifesta del ricorrente il quale destabilizzato psicologicamente dalle angherie profuse ne subisce inerme gli effetti;

– Presenza di più fasi successive: conflitto mirato, inizio del mobbing, sintomi psicosomatici, abusi, aggravamento della salute, esclusione dal mondo del lavoro ecc.

– Oltre a tutto ciò, bisogna che vi sia l’intento persecutorio, ovvero un chiaro disegno premeditato per tormentare il dipendente assoggettandolo ad atteggiamenti prevaricatori volti all’isolamento ed alla destabilizzazione psico-fisica del soggetto passivo.

Come difendersi dal mobbing?

Nel nostro ordinamento possono rinvenirsi diverse norme che permettono alle vittime di tutelarsi rispetto a fenomeni di mobbing:

-Una tutela costituzionale

La prima granitica garanzia può essere rinvenuta nel testo della Costituzione. La carta fondamentale del nostro ordinamento infatti, all’articolo 32 riconosce e tutela la salute come un diritto fondamentale dell’uomo; all’articolo 35 tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni e all’articolo 41 vieta lo svolgimento delle attività economiche private che possano arrecare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana.

– La tutela prevista dal codice civile:

Focalizzando l’attenzione invece sul piano pratico, nel nostro codice civile è possibile rinvenire due fondamentali norme in grado di aiutare le vittime di comportamenti ‘mobbizzanti’ a trovare tutela rispetto alle lesioni subite:

Si tratta in particolare dell’articolo 2043 del c.c. che prevede l’obbligo di risarcimento in capo a chiunque cagioni ad altri un danno ingiusto con qualunque fatto doloso o colposo.

Va evidenziato altresì l ‘articolo 2087 del c.c. che impone all’imprenditore di adottare tutte le misure di sicurezza idonee a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori.

La tutela prevista dalle norme del codice penale:

Il mobbing, nel nostro ordinamento può talvolta assumere rilevanza anche da un punto di vista penale, sebbene non esista una specifica figura di reato ‘ad hoc’.

I comportamenti mobbizzanti, infatti, a determinate condizioni possono cagionare delle conseguenze riconducibili alla fattispecie di reato di lesioni personali di cui all’articolo 590 del codice penale o in quello degli atti persecutori (comunemente detto stalking) all’interno dell’articolo del 612 bis c.p.

– La tutela prevista da leggi speciali:

una tutela contro comportamenti mobbizzanti può essere ravvisata innanzitutto nello Statuto dei lavoratori (L. 300/1970) , nella parte in cui pone una specifica procedura per le contestazioni disciplinari a carico dei lavoratori e laddove punisce i comportamenti discriminatori del datore di lavoro. Il mobbing, non a caso, riguarda spesso grandi aziende, le quali lo utilizzano per aggirare la normativa a tutela dei licenziamenti cagionando nel lavoratore “sgradito” una condizione di stress psico-fisico, idonea a determinarlo ad abbandonare di sua “spontanea volontà” il luogo di lavoro.

Un’ulteriore tutela, di carattere più generale, è ravvisabile, infine, nel Testo unico in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.

Il risarcimento del danno in sede civile:

Le vittime di mobbing, quindi, trovano la loro principale fonte di tutela nella possibilità di esperire i tradizionali rimedi civilistici offerti dal nostro ordinamento.

Esse potranno, in altre parole, citare in giudizio il loro mobber dinanzi al giudice civile al fine di vederne accertata la responsabilità per i danni che ha cagionato nei loro confronti e ottenerne la condanna al risarcimento delle sofferenze patite, anche grazie alle prove ottenuto tramite il lavoro di un investigatore privato od un’agenzia investigativa. A tal proposito, va detto che le tipologie di danno che possono essere richieste in sede civile e per le quali il giudice può disporre il risarcimento sono molteplici e possono riguardare sia il danno non patrimoniale che il danno patrimoniale.

Il ‘mobbizzato’ infatti, può essere risarcito innanzitutto per le sofferenze non patrimoniali subite in conseguenza delle condotte persecutorie, che vanno valutate globalmente dando rilevanza alla lesione della salute psico-fisica del danneggiato (danno biologico), alla sofferenza interiore derivante dalle condotte persecutorie (danno morale) e al peggioramento delle sue condizioni di vita quotidiane (danno esistenziale).

Egli, inoltre, in alcuni casi può essere risarcito anche del danno patrimoniale subito in conseguenza del mobbing e che comporta, in sostanza, un’incidenza negativa sulla sua sfera economica.

Ad esempio, il danno patrimoniale subito dal mobbizzato può identificarsi nell’essere stato costretto a sostenere delle spese mediche, farmaceutiche o per visite specialistiche in conseguenza delle lesioni psico-fisiche derivanti dal mobbing o, anche, nel mancato guadagno conseguente all’impoverimento delle sue capacità professionali che si verifica in tutti i casi in cui il mobbing comporta un’inattività forzata del lavoro, la sua perdita di chances, il mancato avanzamento di carriera, la compromissione della sua immagine professionale e così via.

L’onere della prova

Affinché possa essere risarcito del danno subito tuttavia, è necessario che sia il soggetto passivo a fornire prova precisa e dettagliata della sofferenza e del disagio di cui è vittima:

Innanzitutto egli dovrà provare che, nei suoi confronti, sono stati perpetrati una serie di comportamenti persecutori, con intento vessatorio e che questi siano stati ripetuti e costanti nel tempo. L’obiettivo dell’agenzia investigativa, attraverso i propri investigatori privati ed un’indagine investigativa studiata nei minimi dettagli, sarà quello di reperire le prove utilizzabili dal soggetto passivo in sede giudiziaria.

Gli elementi strutturali della condotta mobbizzante sono dati, come detto, dalla molteplicità di comportamento dal chiaro intento persecutorio, posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo.

Il mobbizzato dovrà provare infatti che tali comportamenti non sono sfociati in un unico, isolato episodio, ma sono stati reiterati lungo un arco temporale medio-lungo scandito e ben delineato.

Un’ulteriore fondamentale prova da fornire è quella relativa al danno subito alla salute psico-fisica. Essa potrà essere data con dichiarazioni testimoniali e, ancor più efficacemente, con perizie e certificati medici che attestino lo stato di depressione e frustrazione.

Infine, ed è questa la prova più delicata da fornire, dovrà essere accertato lo stretto rapporto (nesso) causale tra la condotta denunciata e il danno subito.

Un’attività di investigazione privata, espletata dall’agenzia investigativa, potrà senz’altro essere utile a documentare queste situazioni di disagio dinanzi al giudice.

Mobbing sul lavoro

Il contesto principale con riferimento al quale si è iniziato a far riferimento al mobbing come comportamento illecito, giuridicamente rilevante, è quello lavorativo.

In tal contesto, sostanzialmente, il mobbing si estrinseca in tutti quei comportamenti che il datore di lavoro o i colleghi pongono in essere, per svariate ragioni, al fine di emarginare e allontanare un determinato lavoratore.

Da tale definizione è possibile far discendere una prima forma di classificazione del mobbing: quella che distingue il mobbing verticale dal mobbing orizzontale.

Il mobbing verticale (o bossing) è la classica forma nella quale si estrinseca il mobbing e consiste negli abusi e nelle vessazioni perpetrati ai danni di uno o più dipendenti da un loro diretto superiore gerarchico. In questi casi le possibilità di ribellarsi a tali atteggiamenti sono spesso molto limitate e di non facile attuazione, in ragione dei rapporti di forza sbilanciati tra mobber e mobbizzato.

Innanzitutto occorre chiarire che questa pratica combina, in maniera premeditata, azioni a scopo intimidatorio con veri e propri atti di violenza psico-fisica e di esclusione dai privilegi aziendali solitamente riservati in forma equa ai vari dipendenti.

Tali provvedimenti riguardano spesso l’assegnazione d’incarichi lavorativi specifici, l’esclusione dai meeting del personale dipendente e il tenere nascoste solo ad alcuni dipendenti le informazioni che usualmente vengono diffuse tra tutti.

Tra gli altri atteggiamenti che caratterizzano il comportamento mobbizzante vi è poi, ad esempio, il fenomeno del ridimensionamento di ruolo nella comunità aziendale, che vede brillanti dipendenti (ritenuti potenzialmente pericolosi per lo status di alcuni alti membri del comitato direttivo a rischio) incaricati di mansioni di poco conto, come quella di fare fotocopie o gestire la posta di altri dipendenti di pari rango, che li demotivano e limitano l’espressione delle proprie capacità e conoscenze.

La Cassazione, nell’ambito del mobbing verticale ha precisato che tale può qualificarsi la condotta del datore di lavoro agita nei confronti del dipendente in violazione degli obblighi di cui all’art. 2087 c.c. e consistente in reiterati e prolungati comportamenti ostili, di intenzionale discriminazione e persecuzione psicologica, con mortificazione ed emarginazione del lavoratore, correttamente individuati dal giudice di merito in continui insulti e rimproveri con umiliazione e ridicolizzazione davanti ai colleghi di lavoro, e nella frequente adibizione a lavori più gravosi rispetto a quelli svolti in precedenza. (Cass. civ, 26 marzo 2010 n. 7382).

Ed ancora, con la sentenza del 10 gennaio 2012 n. 87, ha evidenziato che per mobbing deve intendersi “una condotta del datore di lavoro sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del dipendente sul luogo di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterarti comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del lavoratore, con effetto lesivo del suo equilibrio fisio-psichico e della sua personalità”.

L’intento è quello di creare nella vittima, per varie ragioni, un senso di emarginazione e di cagionarle frustrazione e un’ansia sempre crescente e spesso insopportabile.

In questi casi le possibilità di ribellarsi a tali atteggiamenti sono spesso molto limitate e di non facile attuazione, in ragione dei rapporti di forza sbilanciati tra mobber e mobbizzato.

L’ausilio di un investigatore privato, come già detto, potrà essere fondamentale nella prova di siffatti atteggiamenti.

Per mobbing orizzontale, invece, si intende l’insieme di atti persecutori messi in atto da uno o più colleghi nei confronti di un altro pari gerarchico, spesso finalizzati a screditare la reputazione di un lavoratore mettendo in crisi la sua posizione lavorativa. Si tratta di comportamenti difficili da fronteggiare e denunciare soprattutto se attuati da un gruppo.

Con la recente sentenza n. 27931 del 04.12.2020 la Cassazione ha espresso un giudizio molto significativo con riguardo all’estensione della responsabilità del datore di lavoro rispetto a condotte non proprie e dunque anche indirettamente imputabili. In effetti, la Corte sostiene che se anche il mobbing non proviene direttamente dal datore di lavoro, il quale pertanto non ha posto in essere condotte vessatorie, egli sarà comunque responsabile per l’inadempimento dei propri obblighi di tutela, ai sensi dell’art. 2087 c.c., nel caso in cui le condotte mobbizzanti provengano dal collega di pari livello del lavoratore o dal superiore gerarchicamente sovraordinato. E ciò a prescindere dalla circostanza per la quale il datore di lavoro fosse o meno al corrente dei comportamenti e delle condotte lesive dell’interesse del proprio dipendente.

Per quanto esse siano del tutto inusuali, talvolta possono comunque verificarsi anche ipotesi di mobbing dal basso o low mobbing.

Si tratta di una serie di azioni che mirano a ledere la reputazione delle figure di spicco aziendali, magari a seguito di un loro comportamento ritenuto non idoneo da parte di un buon numero di dipendenti oppure per motivi semplici quanto futili, come antipatia o invidia per il potere mostrato o per la posizione raggiunta.

E’ una situazione che, ad esempio, può verificarsi in ipotesi di crisi economica aziendale. In questi casi, infatti, non è raro che la figura del capo sia considerata alla base della crisi e di ogni altra problematica come disorganizzazione, cattiva reputazione dell’azienda, incapacità di essere competitivi.

Mobbing in contesti diversi dall’ambito lavorativo

Sino ad ora, nel parlare di mobbing si è fatto riferimento esclusivo al mondo del lavoro.

C’è tuttavia da evidenziare, infine, che negli ultimi anni si è esteso il concetto di mobbing (e per l’effetto le sue tutele) anche a contesti in cui il predetto fenomeno ha assunto rilevanza.

Oggi si è infatti pacificamente concordi nel ritenere che Il mobbing possa essere rinvenuto anche in altri contesti sociali. Ne sono esempi:

mobbing scolastico

Ciò accade, ad esempio, all’interno dell’ambiente scolastico in cui i ragazzi possono divenire vittime del mobbing operato sia da altri studenti che dagli insegnanti.

Si pensi ai casi di disapprovazione infondata di alcune abitudini o idee dello studente o, ancora peggio, ai casi di pregiudizio nei suoi confronti derivante dalle origini, dalle tradizioni o dalla diversa etnia.

mobbing familiare

altro contesto sociale in cui il mobbing può estrinsecarsi è quello familiare. Esso, ad esempio, riguarda i casi in cui un coniuge vuole ottenere il monopolio delle attenzioni della prole ed a tal fine, cerca di estromettere il partner dalle questioni familiari.

E’ chiaro che questo tipo di mobbing è nocivo non solo della stabilità del nucleo familiare e della salute della vittima diretta ma anche di quella dei figli e di tutto il nucleo familiare.

Affidarsi all’agenzia investigativa Argo e, alla professionalità ed esperienza dei propri investigatori privati, è la soluzione migliore per difendersi dal mobbing.

Tale servizio investigativo è rivolto ovviamente anche ai casi di mobbing scolastico e familiare.

Prenditi qualche minuto e invia le tue richieste, torneremo con una soluzione

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