Il verbo indagare deriva dal latino indagare: dare la caccia. È composto dal suffisso ind, che significa dentro e dal verbo ago conduco, in riferimento alle reti in cui veniva attirata la selvaggina.
L’oggetto dell’indagine nel latino imperiale era quindi qualcosa di sfuggente e imprevedibile che, visti i connotati d’urgenza, imponeva a colui che la svolgeva un animo concitato.
Nell’uso moderno, indagare è utilizzato nel senso di compiere ricerche accurate e sistematiche su qualcosa o qualcuno al fine di produrre conoscenza.
L’atto di sapere è infatti il solo che rappresenta il perfezionamento dell’atto di vedere.
Senza l’assoluta certezza siamo portati a vedere il mondo con gli occhi di un miope che, anche sforzandosi, non riuscirà a mettere a fuoco pienamente il comportamento di chi lo circonda e da lì scaturirà un dubbio. Affinché la conoscenza possa essere realmente solida, è necessario che la ricerca venga condotta con la consapevolezza che ogni tassello, ogni traccia, ogni informazione raccolta sia letta non singolarmente ma in correlazione alle altre, ognuna di queste ha una precisa valenza all’interno di una visione di più ampio respiro che conduce alla verità.
È importante inoltre, nel processo di giudizio delle informazioni raccolte non abbandonare mai il senso critico. Esplorare, individuare, raccogliere, tenendo sempre una distanza critica che consenta di non innamorarsi di un’ipotesi.
Sinonimo di indagare ma con una connotazione più pregnante e precisa è data dal verbo investigare.
Deriva anch’esso da un verbo latino, vestigo, che significa “seguire la traccia”, “cercare diligentemente”.
L’investigazione è il momento più alto del processo conoscitivo tipicamente umano: un tentativo fallibile e precario di ridurre l’incertezza, ovvero di passare dal livello più disordinato che offre
incertezza ad un livello più studiato e controllato.
Oltre ad avere un’accezione più ampia, applicabile a diversi settori delle attività umane, il termine investigare ha una valenza strettamente professionale, riferibile nella sfera pubblica, all’attività compiuta dai tecnici dell’ambito giudiziario e giuridico ed in quella privata all’attività svolta dall’investigatore privato.
Mentre l’operato dei primi, in virtù della natura pubblica, è conosciuta ai più, la figura dell’investigatore privato, per molti, rimane ancora avvolta nel mistero, complice probabilmente oltre alla comune propensione ad idealizzarla, accostandola ai protagonisti di romanzi, film e serie TV, l’assenza fino all’emanazione della L. 397 del 2000 di una risposta normativa, seppur lacunosa, che desse voce all’esigenza un corretto bilanciamento tra le parti nel processo penale e di una disciplina che introducesse i requisiti tecnici e formativi minimi per l’esercizio della professione.

Eppure, l’investigatore privato italiano, in qualità di consulente tecnico della difesa farà la sua comparsa nel codice di procedura penale del 1989 con l’entrata in vigore delle “Norme di attuazione, di coordinamento, transitorie e regolamentari del nuovo codice di procedura penale”.
Il secondo comma dell’art. 38 disp. att. c.p.p., nonostante fosse considerato da subito scarno e generico a causa dell’essenza di formalità per la redazione della documentazione dell’attività investigativa e le modalità di validità dei suoi atti, riconosceva al difensore la possibilità di delegare le indagini a “investigatori privati autorizzati”.
Al fine di approntare una disciplina transitoria, nell’attesa che gli istituti di investigazione privata venissero riassettati, fu introdotto nel testo definitivo del codice, l’art. 222 disp. coord. c.p.p. che introduceva una novità.
Prevedeva infatti, che “fino all’approvazione della nuova disciplina sugli investigatori” l’autorizzazione a svolgere le attività previste dall’art. 38 disp. att. c.p.p. dovesse essere rilasciata dal prefetto agli investigatori che avessero maturato “una specifica esperienza professionale che garantisse il corretto esercizio dell’attività”, eliminando così la prassi sviluppatasi presso le prefetture, di inserire nella licenza rilasciata la clausola che inibiva “di eseguire investigazioni e ricerche e di raccogliere informazioni in merito a fatti o circostanze che risultino già oggetto di indagine da parte di organi di polizia giudiziaria”.
Il sistema accusatorio italiano fino all’emanazione della L. 397 del 2000 era di fatto monco, non prevedendo nel corpus normativo un’espressa disciplina sulle indagini difensive che potesse garantire a tutte le parti (tanto al P.M. quanto alle parti private) pieno rispetto di quello che viene definito “diritto alla prova”.
Le importanti novità introdotte dalla nuova regolamentazione hanno inciso sul ruolo dell’investigatore privato italiano all’interno del processo penale, prevedendo che su incarico del difensore possa svolgere indagini per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito, compiendo atti tipici (attività formali) e i così detti atti atipici (attività informali).
Le attività tipiche sono specificatamente disciplinate dalla legge e riguardano: il colloquio non documentato, la ricezione di una dichiarazione scritta, l’assunzione di informazioni (art. 391-bis c.p.p.), la documentazione di dichiarazioni e informazioni ricevute (art.391-ter c.p.p.), la richiesta di documentazione alla pubblica amministrazione (art. 391-quater c.p.p.), l’accesso ai luoghi privati o non aperti al pubblico (art.391-sexies c.p.p.)
Per atti atipici s’intende quel tipo di attività che non sono espressamente disciplinate dal codice di rito, che non sono da questo vietate o attribuite dalla legge esclusivamente alla magistratura e/o polizia giudiziaria. Tra queste attività possiamo annoverare: l’osservazione statica e dinamica (appostamento e pedinamento) anche a mezzo di strumenti elettronici, sopralluogo, registrazioni audio, video e fotografiche, l’acquisizione d’informazioni estratte da documenti di libero accesso, interviste a persone anche a mezzo di conversazioni telefoniche.
L’attività investigativa del detective privato non è però, ovviamente, circoscritta all’ambito penale, potendo esso svolgere le sue funzioni anche in relazione a comportamenti che non costituiscono un crimine ma un illecito civile, amministrativo o che afferiscono ad una controversia civile.
In campo giuslavoristico le indagini vengono spesso compiute al fine di verificare l’adozione da parte dei dipendenti di condotte illecite.
È sufficiente anche un mero sospetto, da parte del datore di lavoro, circa la commissione di tali condotte affinché questi possa conferire mandato all’agenzia investigativa.
Le attività di indagine non possono invece sostanziarsi nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria del dipendente né nel controllo dell’adempimento diligente delle mansioni che è invece riservato al datore di lavoro e ai suoi collaboratori.
Più conosciuto è forse l’ausilio che le agenzie investigative possono fornire a tutela di un diritto di famiglia.
Dimostrare infatti, in sede di giudizio, con un dossier investigativo contenente “dati del tutto oggettivi, non mere deduzioni dell’investigatore privato incaricato” come puntualizzato dalla Suprema Corte (Cass. civ. Sez. I Sent. 11516 del 23/05/2014), l’anteriorità del tradimento rispetto alla domanda di separazione, consente l’addebito della stessa al coniuge adultero.
Con la legge n.54/2006 è stato capovolto il sistema e la prassi previgente ed introdotto il diritto alla bigenitorialità, che consente ad entrambi i genitori una partecipazione attiva al processo educativo di crescita e assistenza dei figli. In armonia con il nuovo dettato normativo, il giudice chiamato a pronunciarsi sulla separazione ed i consequenziali provvedimenti relativi ai figli, dovrà valutare se adottare l’affidamento condiviso o l’affidamento esclusivo ad uno dei genitori qualora appaia la soluzione più idonea per il minore.
In un momento così delicato ed intimo è importante affidarsi ad un investigatore privato affinché vengano riscontrati elementi volti a far valere o a difendere in sede giudiziaria l’esclusivo interesse morale e materiale della prole.
Un altro passo in avanti per la professione è stato compiuto con l’emanazione del Decreto Ministeriale n. 269 del 2010 “Regolamento recante disciplina delle caratteristiche minime del progetto organizzativo e dei requisiti minimi di qualità degli istituti e dei servizi di cui gli articoli 256-bis e 257-bis del Regolamento di esecuzione del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, nonché dei requisiti professionali e di capacità tecnica richiesti per la direzione dei medesimi istituti per lo svolgimento di incarichi organizzativi nell’ambito degli stessi istituti” entrato in vigore il 15 marzo del 2011. L’esigenza di approntare una nuova disciplina è emersa dalla necessità di riqualificare e professionalizzare il ruolo dell’investigatore privato che, a causa delle lacune normative veniva spesso svolto da soggetti improvvisati.
Con il nuovo regolamento è stata di fatto riorganizzata la disciplina relativa agli istituti di investigazione privata apportando una netta distinzione tra l’investigatore privato e informatore commerciale, introdotti i requisiti minimi richiesti per il rilascio delle licenze prefettizie, svincolate dai limiti territoriali.
Per l’investigatore privato titolare d’istituto (ex art. 134 T.U.L.P.S):
• Aver conseguito una laurea almeno triennale in:
Giurisprudenza,
Psicologia a indirizzo forense,
Sociologia,
Scienze politiche,
Scienze dell’Investigazione,
Economia,
ovvero corsi di laurea equipollenti.
• Aver svolto con profitto un periodo di pratica di almeno un triennio, presso un investigatore privato autorizzato da almeno cinque anni, in costanza di rapporto dipendente e con esito positivo espressamente attestato dallo stesso investigatore;
• Aver partecipato ai corsi di perfezionamento teorico-pratico in materia di investigazioni private, organizzato da strutture universitarie o da centri di formazione professionale riconosciuti dalle Regioni e accreditati presso il Ministero dell’Interno – Dipartimento di pubblica sicurezza, secondo le procedure da questo individuate;
Ovvero
• aver svolto documentata attività d’indagine in seno a reparti investigativi delle Forze di polizia, per un periodo non inferiore a cinque anni e aver lasciato il servizio, senza demerito, da non più di quattro anni.
In relazione all’ultimo punto è stato reso noto da circolare ministeriale che la predetta esperienza presso le Forze di Polizia è alternativa ai requisiti previsti per la pratica, l’aggiornamento ed il perfezionamento, ma non al titolo di studio che resta indispensabile per poter effettuare la professione di investigatore privato titolare di licenza.
Per l’investigatore privato dipendente:
• Aver conseguito, al momento della richiesta, un diploma di scuola media superiore;
• Aver svolto con profitto un periodo di pratica, per almeno un triennio, in qualità di collaboratore per le indagini elementari, presso un investigatore privato titolare d’istituto, autorizzato in ambito civile da almeno cinque anni, in costanza di rapporto di lavoro di almeno 80 ore mensili e con esito positivo espressamente attestato dallo stesso investigatore;
• Aver partecipato a corsi di perfezionamento teorico-pratico in materia di investigazioni private ad indirizzo civile, organizzati da strutture universitarie o da centri di formazione professionale riconosciuti dalle Regioni e accreditati presso il Ministero dell’Interno – Dipartimento della pubblica sicurezza, secondo le procedure da questo individuate.
Ovvero
• Aver svolto documentata attività d’indagine in seno a reparti investigativi delle Forze di polizia, per un periodo non inferiore a cinque anni e aver lasciato il servizio, senza demerito, da non più di quattro anni.
Per quanto attiene le attività di indagine che possono essere svolte, nell’ art. 5 del decreto vengono distinte:
– investigazioni in ambito privato, ovvero informazioni richieste dal privato per una sua tutela in sede giudiziaria, come in ambito matrimoniale, familiare e patrimoniale;
– investigazioni in ambito aziendale, richieste da enti pubblici e privati, cioè da società anche senza personalità giuridica, al fine di tutelare un proprio diritto in sede giudiziaria, come nel caso di infedeltà del lavoratore, di contraffazione di prodotti e per la tutela di marchi e brevetti;
– indagini in ambito commerciale, consistenti in richieste del commerciante al fine di determinare, pur a livello contabile, gli ammanchi e le differenze inventariali, anche mediante informazioni reperite direttamente presso l’esercizio commerciale;
– indagini in ambito assicurativo, richieste da qualsiasi avente diritto, per la propria tutela in sede giudiziaria, relativamente alla dinamica di sinistri stradali e sul lavoro, oppure da società assicurative per una loro tutela da eventuali frodi;
– indagini difensive, finalizzate alla ricerca di elementi di prova da utilizzare nel contesto del processo penale, così come disciplinate dal Titolo VI bis del c.p.p.;
– informazioni commerciali, richieste da enti pubblici e privati per raccogliere analisi, elaborazione, valutazione e stima di dati economici, finanziari, creditizi, patrimoniali, industriali, produttivi, imprenditoriali e professionali di imprese e società di persone e di capitali, nonché delle persone fisiche ad esse connesse, quali soci ed amministratori, nel rispetto della vigente normativa europea in materia di privacy;

L’Agenzia investigativa Argo con trent’anni di indagini alle spalle ha fin da subito compreso la portata delle novità normative e l’impatto che queste avrebbero avuto per la professione.
Per questo motivo ha creato un team multidisciplinare composto da professionisti del settore, in grado di offrire il miglior supporto investigativo anche in giudizio a privati, studi legali, professionisti e aziende su tutto il territorio nazionale.

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